Erik!


Diciamoci la verità … nasce tutto dalla volontà di fare un favore e così eccomi all’aeroporto Marco Polo di Venezia per incontrare Erik ………, il primo alpinista non vedente ad aver raggiunto la vetta dell’Everest.
E’ un sabato mattina meraviglioso (per altro uno dei pochi di questa estate 2004) ed invece di essere in giro in Dolomiti declino ogni invito e mi presento con carta penna e registratore (Erik è americano, e se magari non riuscissi a capire un bel niente? Meglio registrare!) all’appuntamento. Le Alpi troneggiano sullo sfondo, non permettendomi di dimenticare “cosa mi sto perdendo”.
Girovago un po’ attorno al caffè dell’aeroporto, luogo dell’appuntamento, in cerca di qualcuno che possa assomigliargli, fino a che, uscendo non vedo un gruppetto di persone che scarica zaini da un taxi … una bimba gioca con un bastone bianco lanciandomi un segnale inequivocabile: ok si inizia!
Il gruppo di Erik è formato dalla moglie, dalla figlia di 4 anni e dal suo compagno di avventure nonché webmaster … ebbene sì, Erik in America, è così famoso da concedersi un webmaster personale: non so se mi sta così simpatico …
A casa riflettevo sul valore sportivo delle sue imprese, sempre e comunque legato ad una corda, in modo cattivo si potrebbe dire “a traino”, sul suo successo mediatico e su quanta parte di questo sia legata al fatto che sia un disabile, cosa che necessariamente ne limita un’interpretazione oggettiva.
Tutti mi dicono che sono un tipo fin troppo “diretto” e credo che a questo punto l’abbiate capito da soli …
L’aeroporto è un gran casino, così carico tutti in macchina e raggiungo Venezia per una passeggiata di un paio d’ore. Per prima cosa decido di far assaggiare alla banda americana lo spriz, tipica bevanda lagunare a base di vino bianco, Aperol e selz: al momento del brindisi mi accorgo che Erik non riesce a prendersi il bicchiere, non sa neppure da che parte stia il bancone … primo brivido.
Parliamo, parliamo e parliamo ancora (altra cosa che non mi crea difficoltà alcuna) e pian piano la sua semplicità, il suo entusiasmo e la sua orgogliosa vulnerabilità mi danno diverse occasioni da brivido, specie quando lo vedo giocare con la figlia facendo girare il suo bastone.
Mi accorgo allora di quale importanza possa avere l’arrampicata nella sua vita, di cosa possa rappresentare un’attività come questa che vive su gesti e movenze che si ripetono innumerevoli volte regalando però, al contempo, la possibilità di scoprire sempre situazioni diverse.
Chiudersi l’imbrago, sistemarsi il casco, allacciarsi le scarpette sono veri e propri riti tra gli arrampicatori e lo sono ancor di più per Erik, che trova in essi la fiducia, la forza e l’entusiasmo necessari ad affrontare nuove salite e nuovi obbiettivi.
Ad un certo punto mi racconta di un fatto accadutogli pochi giorni prima sullo spigolo Giallo alla Piccola delle Tre Cime di Lavaredo (via aperta da Emilio Comici con tratti di V+/VI decisamente atletici): mentre era in sosta, la guida che lo accompagna lo avverte di un fatto davvero singolare, a pochi metri da lui, sull’altro lato dello spigolo c’è un arrampicatore austriaco, anche lui non vedente che sale un itinerario parallelo al suo. Ovviamente anche l’austriaco sente quanto detto dalla guida ed immediatamente chiede ad Erik non come si chiamasse, ma quale fosse la cima più alta da lui scalata; un Erik giustamente orgoglioso risponde: “L’Everest!” E’ a quel punto che l’altro si entusiasma in ogni modo, al suo fianco c’è il suo idolo, Erik ………, il primo non vedente a raggiungere il tetto del mondo (e a salire tutte le Seven Summit)!
Nel suo piccolo anche lui è famoso, tanto che una televisione austriaca sta filmando la sua salita dall'elicottero: certamente l’incontro inatteso renderà il tutto ancora più bello.
La salita prosegue con i due impegnati fianco a fianco fino alla meritata vetta, per un’altra giornata meritatamente sottratta ad un destino non proprio magnanimo.
Non vi elencherò tutti gli exploit di Erik, ma vi garantisco che il loro valore per me era davvero minimo fino a quando non gli ho confrontati con la sua difficoltà a raggiungere un semplice bicchiere.
Il grande dono di Erik non è la destrezza in arrampicata, ma la sua ferma volontà a non rinunciare, a non mollare, a non smettere di vivere e questo ha una duplice valore: serve infatti a spronare, a motivare chi, nelle sue stesse condizioni, trascorre una vita spenta, priva di emozioni e gioie vere, ma serve anche a chi, più fortunato, può leggersi da solo questo racconto e riflettere sulla possibilità che abbiamo e che spesso non abbiamo il coraggio di affrontare.
Erik oggi vive arrampicando in giro per il mondo, facendo serate e scrivendo libri, ma ciò che più conta è che tutto ciò regala a lui e a chi gli sta vicino una grandissima gioia …
Rileggendo queste righe mi auto accuso di retorica, di essere trito e ritrito, ma riflettendo credo che in realtà accuse come queste siano la vera bassezza: noi scriviamo, leggiamo, crediamo che i figli della montagna siano speciali, migliori, crediamo spesso di avere qualcosa in più degli altri, di aver capito il valore delle cose, ma poi, chiusi in un banale egoismo, quegli stessi valori non siamo capaci di condividerli …
Grazie Erik è stato davvero un gran Sabato!

Da un vekkio numero di MONTAGNARD del 2004

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